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Redazione CosaConta

La violenza economica è una delle forme meno conosciute della violenza di genere, ma non per questo è meno grave o diffusa. Ecco quali sono i campanelli d’allarme per riconoscerla e alcuni strumenti e consigli utili per prevenirla.

Avere un conto in comune con il partner, ma non sapere né quanti soldi ci sono sopra, né come prelevarli. Firmare un contratto senza capirne le conseguenze, magari su richiesta insistente del partner. Provare a tornare nel mercato di lavoro dopo aver avuto un figlio e non ricevere nessun tipo di supporto o incoraggiamento da parte del partner.

Questi sono solo alcuni esempi di violenza economica, una delle forme più sottovalutate di violenza di genere.

Ma quali sono le caratteristiche fondamentali di questo fenomeno? Come si previene e come si combatte? Proviamo a fare chiarezza, partendo dalle definizioni, dai dati e dagli strumenti necessari per contrastarla.

Cos’è la violenza economica di genere e che conseguenze ha?

La Convenzione di Istanbul, il principale trattato internazionale sulla prevenzione e il contrasto della violenza di genere, riconosce quella economica come una delle quattro forme di violenza, insieme a quella fisica, sessuale e psicologica.

Secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) la violenza economica comprende “qualsiasi atto o comportamento che provochi un danno economico a un individuo. La violenza economica può assumere la forma, ad esempio, di danni alla proprietà, limitazione dell'accesso alle risorse finanziarie, all'istruzione o al mercato del lavoro, o mancato rispetto di responsabilità economiche, come gli alimenti”.

Come sottolineano gli autori e le autrici del report “Cioè che è tuo è mio” di WeWorld, “questo tipo di violenza viene agito prevalentemente all’interno di relazioni intime e/o familiari ed è raro che comportamenti economicamente abusanti avvengano singolarmente: la violenza economica tende a essere parte di un più ampio ciclo di violenza intima e/o familiare (fisica, psicologica, sessuale, ecc.)”.

Le conseguenze della violenza economica di genere sono molteplici e drammatiche. Sul piano personale, la dipendenza economica dal partner può rendere più difficile allontanarsi da una relazione violenta e, dopo una separazione, espone molte vittime al rischio di indebitamento o di lavori sottopagati. L’impatto sulla salute è altrettanto evidente: la mancanza di risorse limita l’accesso a cure mediche, aumenta stress e ansia, e può portare a isolamento sociale, con ripercussioni anche sui figli.

Inoltre, la violenza economica spesso si manifesta anche con tentativi di ostacolare o sabotare l’ingresso o la permanenza nel mercato del lavoro, con effetti a lungo termine sulla carriera, sulla produttività e sulla possibilità di costruire una sicurezza finanziaria

La violenza economica di genere in Italia

In Italia, la violenza economica si intreccia con una condizione strutturale di fragilità finanziaria che riguarda moltissime donne. I segnali arrivano da diverse ricerche, tra cui l’indagine Kruk–Ipsos realizzata in occasione della Giornata senza debiti: il 64% delle donne si sente poco o per nulla preparata in ambito finanziario, contro il 45% degli uomini.

Il quadro occupazionale contribuisce ad amplificare la vulnerabilità: lavora solo una donna su due (53,7%), contro il 71,4% degli uomini. Un divario che colloca l’Italia al 27° posto in Europa per tasso di occupazione femminile. Meno lavoro significa meno reddito, meno potere decisionale, più difficoltà nella gestione del bilancio familiare: il 10% delle donne ammette di spendere più di quanto guadagna, contro il 3% degli uomini. Inoltre, solo il 16% delle donne possiede investimenti finanziari, contro il 32% degli uomini. E nelle coperture assicurative vita o salute il divario raddoppia: 8% contro 16%.

La Rete nazionale dei Centri antiviolenza racconta che la violenza economica riguarda oltre il 35% delle più di 20mila donne che si rivolgono ai centri ogni anno. Il numero 1522, numero nazionale gratuito per segnalare le violenze, conferma questa realtà: più della metà delle donne che chiamano non lavora e circa il 60% non ha autonomia economica

Infine, un’indagine WeWorld mostra che una donna su due ha dichiarato di aver subito almeno una volta nella vita una forma di violenza economica. Una percentuale che sale al 67% tra le donne separate o divorziate, segno di quanto il controllo economico possa continuare anche dopo la fine di una relazione.

Per tutte queste ragioni, la violenza economica non può essere un tema “accessorio”: è una barriera concreta alla libertà delle donne e alla loro piena partecipazione alla vita sociale ed economica. Una violenza che si combatte prima di tutto riconoscendola.

Quali sono i campanelli d’allarme della violenza economica di genere?

Riconoscere la violenza economica non è sempre immediato: può manifestarsi in modi sottili, quotidiani, normalizzati da abitudini culturali che cambiano da contesto a contesto. Eppure, le evidenze ci dicono che le sue forme ricorrenti hanno tratti comuni:

  • La prima è il controllo economico: quando il partner limita o vigila sulle risorse e sulle decisioni finanziarie della donna, chiedendo conto di ogni spesa, controllando estratti conto, imponendo autorizzazioni anche per i piccoli acquisti, impedendo l’accesso a un conto personale o esclusivo.
  • A questo si affianca lo sfruttamento economico, quando le risorse della vittima vengono utilizzate a vantaggio dell’autore della violenza: dal prelievo di denaro o beni alla costrizione a lavorare più del dovuto, fino alla relegazione totale nel lavoro domestico.
  • Infine, c’è il sabotaggio economico, una dinamica più subdola ma altrettanto diffusa: ostacolare l’accesso al lavoro o allo studio, danneggiare strumenti necessari per esercitare una professione, non occuparsi dei figli per impedire alla partner di presentarsi a un colloquio importante, interferire con percorsi di autonomia già fragili.

I campanelli d’allarme, spesso, sono sotto gli occhi ma difficili da nominare. Non avere un proprio conto corrente è già indice di un livello altissimo di vulnerabilità, e un conto co-intestato non rappresenta una protezione: può essere svuotato in un attimo. Anche la mancanza di un reddito lavorativo espone a un rischio elevato. Una donna può avere risparmi personali, ma senza uno stipendio rimane dipendente dal partner e più vulnerabile nel lungo periodo: percorsi lavorativi intermittenti, spesso dovuti alle responsabilità di cura ancora sbilanciate sulle donne, alimentano anche il divario pensionistico di genere. Solo il 6,6% delle donne che lascia il lavoro dopo la maternità riesce a ritrovarne uno, mentre quasi la metà delle donne occupate (49,2%) lavora part-time rispetto al 27,3% degli uomini.

Per riconoscere la violenza economica può essere utile porsi alcune domande: ho un lavoro ed entrate stabili? Potrei riprendere a lavorare quando voglio? Ho un conto corrente personale? So quanto denaro entra ogni mese in casa? Ho libertà di movimento nelle spese? Do al partner accesso al mio denaro o al mio nome? So a quanto ammonterà la mia pensione? Rispondere con sincerità aiuta a mettere a fuoco i segnali che possono indicare una situazione di rischio.

Come si previene la violenza economica di genere?

Prevenire la violenza economica significa lavorare sulle condizioni che la rendono possibile: la disparità di potere, la mancanza di autonomia e, soprattutto, l’assenza di strumenti per riconoscere e gestire il proprio ruolo economico nella relazione e nella società. In questo senso, l’educazione finanziaria è una leva fondamentale.

L’OCSE la definisce come il processo attraverso cui ciascuno può migliorare le proprie conoscenze su prodotti e rischi finanziari, sviluppando abilità e fiducia per compiere scelte consapevoli. Significa sapere gestire entrate e pagamenti, pianificare e affrontare imprevisti, comprendere il funzionamento di investimenti e assicurazioni, orientarsi nel mondo della finanza.

In questo senso, confrontarsi con chi ha esperienza nel campo economico può essere importante: da un lato aiuta a sviluppare la consapevolezza necessaria a prendere decisioni ragionate, e dall’altro rappresenta un argine concreto alla violenza economica. Condividere vuol infatti dire mettere altre persone al corrente delle dinamiche che si stanno affrontando... E la maggior esperienza (oltre ad un occhio distaccato) può aiutare a riconoscere i segnali che qualcosa non va.

Ma la prevenzione non passa solo dalle competenze tecniche:
serve un cambio culturale. Da qui l’importanza di introdurre curricula obbligatori di educazione economico-finanziaria in tutte le scuole, dalla primaria all’infanzia. Parlare di relazioni sane e di denaro fin da piccoli contribuisce a costruire adulti più consapevoli, capaci di riconoscere gli abusi e di costruire rapporti paritari. Allo stesso tempo, servono campagne di sensibilizzazione diffuse, rivolte alla cittadinanza, per far emergere un fenomeno ancora troppo invisibile.

La prevenzione, poi, comincia anche nelle dinamiche quotidiane della vita di coppia. Parlare di soldi fin dall’inizio permette di costruire trasparenza e fiducia. Scegliere con attenzione il regime patrimoniale, mantenere un conto personale anche in presenza di un conto comune, stabilire un budget per le spese individuali: sono gesti semplici che rafforzano l’autonomia.

Riassumendo

Il controllo finanziario non è cura: è una forma di violenza. E riconoscerla, anche nella sua forma più sottile, è sempre il primo passo per spezzarne il ciclo. Se stai vivendo una situazione di violenza economica, psicologica, fisica o verbale puoi chiamare il numero gratuito 1522 o chattare in anonimato con le operatrici. Puoi anche rivolgerti a uno dei centri antiviolenza della rete D.i.Re, dove troverai ascolto, supporto legale e psicologico, e una rete pronta ad accompagnarti verso l’autonomia e la sicurezza.

Articolo realizzato in collaborazione con FEduF

Le informazioni contenute negli articoli sono prodotte da Banca Mediolanum in collaborazione con FEduF, escludono qualsiasi forma di consulenza e hanno scopo puramente informativo.

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